VALERIA

In principio fu la parola a creare il mondo degli uomini.

Ci pensi mai che senza la parola nulla esiste?

Raccontiamo da sempre. È innato in noi questo bisogno primordiale di creare realtà.

Ci serve per proteggerci, per insegnare, per tramandare informazioni, per costruire il passato, il presente e il futuro, ci serve per litigare e anche per fare pace; per amare.

Quante storie abbiamo inventato, quante narrazioni abbiamo prima disegnato o tramandato oralmente e poi scritto? Me lo chiedo mentre assisto ad una perfetta messa in scena di Edipo Re al Teatro Elfo Puccini di Milano. Me lo chiedo per tutto il tempo della rappresentazione, che attinge alla classicità del testo, ma lo reinventa con la potenza di un equilibrio sottilissimo, fatto di una sceneggiatura ben orchestrata dai 4 attori sul palco (Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, Valentino Mannias) insieme ad una scenografia e dei costumi potentissimi (grazie all’estro di Antonio Marras, alla realizzazione di Elena Rossi e Ortensia Mazzei, con le maschere di Elena Rossi e le luci di Nando Frigerio). Me lo chiedo dimenticando che lo stesso titolo ‘Edipo Re – una favola nera’ contiene la germinazione della risposta.

La favola, la fiaba, il romanzo, la tragedia e la commedia, non sono forse da sempre le armi con cui abbiamo creato l’immaginario e ricreato il reale? Abbiamo aggiunto i costumi in scena, la pittura su tela laddove la parola non arrivava, la musica per aumentare il pathos, le costruzioni scenografiche per creare la terza dimensione e ci siamo eretti finalmente a dei, senza timore di bestemmia.

Sul palco l’eroe bambino diventa prima cavaliere senza macchia, poi re e sposo innamorato e alla fine mostro reo di aver ucciso il suo stesso padre e aver procreato una nuova stirpe con la sua stessa madre. La tragedia è nota. Ma ogni volta produce qualche piccola grande scossa. Lascia che il suo mondo inventato contamini il tuo di spettatore, e fa volare la mente.

‘Fu la colpa
O fu il destino?
Fu l’uomo o furono gli dèi?’

Chiede alla fine una maschera del coro greco ad ognuno di noi. Lo chiede come farebbe un qualunque narratore dopo aver costruito una realtà che è diventata anche la tua e ora si appresta a darti la buonanotte. E tu rimani lì imbambolato con le mani che si agitano in applausi e la testa che, mentre sbatte ancora sulla quantità di storie inventate dall’uomo, si trova ora a fare il conto anche con il fato.

E così esco da teatro che mi chiedo se il dio che ha creato l’uomo, non stia solo raccontando favole in cui porta a spasso i suoi personaggi dal destino già scritto. Una meta-narrazione che rimbalza come una biglia gialla sulla strada del mio lavoro quotidiano.

Non siamo forse noi stessi, Alfiani, creatori di storie e mondi e destini che si svelano? Non ci siamo inventati uno dei mestieri più belli del mondo che è insieme parola e arte, comunicazione e creatività? E lo facciamo per destino?

Sì, mi rispondo di slancio, lo facciamo per fato, perché nessuna delle mille personalità che anima Alf, potrebbe essere in un altro posto o fare altro, se non quello di raccontare storie reinventando ogni volta, un mondo nuovo.

Valeria – La resistente

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