ELISA

L’importanza delle cose (apparentemente) insignificanti

L’UOMO DAL FIORE: E così ha lasciato tutti quei pacchetti in deposito alla stazione?

L’AVVENTORE: Perché me lo domanda? Non vi stanno forse sicuri? Erano tutti ben legati…

L’UOMO DAL FIORE: No, no, non dico!

Pausa

Eh, ben legati, me l’immagino: con quell’arte speciale che mettono i giovani di negozio nell’involtare la roba venduta…

Pausa

Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata… ch’è per se stessa un piacere vederla… cosí liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza…

La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l’altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più per amore dell’arte; poi ripiegano da un lato e dall’altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l’involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d’ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.

L’AVVENTORE: Eh, si vede che lei ha prestato molta attenzione ai giovani di negozio.

L’UOMO DAL FIORE: Io? Caro signore, giornate intere ci passo. Sono capace di stare anche un’ora fermo a guardare dentro una bottega attraverso la vetrina. Mi ci dimentico. Mi sembra d’essere, vorrei essere veramente quella stoffa là di seta… quel bordatino… quel nastro rosso o celeste che le giovani di merceria, dopo averlo misurato sul metro, ha visto come fanno? se lo raccolgono a numero otto intorno al pollice e al mignolo della mano sinistra, prima d’incartarlo […]”

Di che opera si tratta? E soprattutto, perché l’introduzione di questo articolo è l’estratto di un’opera? Andiamo con ordine. Si tratta del libro “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello, atto unico teatrale scritto e interpretato a inizio ‘900. Ha una struttura molto semplice: è un dialogo tra due personaggi, si svolge in un unico ambiente, i protagonisti sono seduti al tavolino di un bar ed è notte. Facile, no?

Ciononostante, per me, rimane una delle letture più interessanti di sempre. Ed è così da un po’ di anni. Mi ricordo quando, in quinta superiore, il mio professore di letteratura manifestò il suo stupore nel vedermi così affascinata e pazzamente coinvolta in questa lettura. Fu l’unica interrogazione in cui presi 10! Che ricordi! E, ancora oggi, a distanza di anni, rimane una pietra miliare tra le mie opere preferite. Trovo che il fascino di queste pagine risieda nella sua delicatezza, nella minuziosa presentazione di alcuni piccoli dettagli e nella cura di ogni parola scelta.

Oggi, voi ne leggete un piccolo estratto, ma se vi concedeste la lettura intera di quest’opera (che comunque è di 20 pagine…) potreste scoprire come le immagini si figurano perfettamente nella vostra mente e quanto siano dettagliate. Tutto nasce dalla sincera ma meticolosa e puramente romantica descrizione dei gesti più semplici. Un esempio? Come vengono composti i pacchetti in un negozio. Se leggeste l’intera opera, ne scoprireste il volto più poetico e vi dimentichereste, per un attimo, quello più pratico. Tutto assumerebbe un fascino che va oltre il quotidiano.

C’è un passaggio che mi sta particolarmente a cuore: quando il protagonista svela al lettore che il suo appellativo “uomo dal fiore in bocca” deriva da una macchiolina che ha sul labbro inferiore. Una macchia dal colore rosaceo che ricorda un fiore… Nel gergo tecnico, questa macchia si chiama epitelioma. L’epitelioma non è altro che un tumore. La morte. È così che lo chiama l’uomo dal fiore in bocca e, in effetti, è questo ciò che è. Un suono così incantevole per un significato così funesto.

Anche in questo caso, Pirandello è riuscito a rendere romantico un momento così crudo e così leggera una “Signora” così macabra. All’interno dell’atto teatrale, infatti, la morte è descritta come un insetto sgradevole che si è poggiato sul protagonista e poi se n’è andato. Come è arrivato, se n’è potuto andare via, come se niente fosse, mentre a noi non rimane che tenerci la morte addosso.

In conclusione, mi sento di dire che prediligo quest’opera perché ho sempre amato le piccole cose, quelle insignificanti, che nessuno nota. Le amo nella mia quotidianità, le amo nei miei viaggi, amo farle notare a chi mi sta attorno.

Ne “L’uomo dal fiore in bocca” credo di aver trovato, fin da allora, questa importanza che io stessa do nell’osservare o nel soffermarmi sui piccoli gesti che rendono la nostra vita speciale. Troppo spesso ci dimentichiamo di guardare con attenzione, di sentire (e intendo il sentire del cuore) e poggiare lo sguardo anche su ciò che è apparentemente insignificante. Troppo spesso ricordiamo di farlo quando ormai non è più tempo.

Dunque, oggi fatevi un regalo. Concedetevi anche voi un “pacchetto”.

Provate a leggere questo racconto cercando i particolari, la cura, l’attenzione.

L’UOMO DAL FIORE:

Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso…

Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese le dice: «Scusi, permette? lei, egregio signore, ci ha la morte addosso». E con quelle due dita protese, la piglia e butta via… Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l’hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano quieti e tranquilli a ciò che faranno domani e doman l’altro. Ora io,

Si alzerà.

caro signore, ecco… venga qua…

Lo farà alzare e lo condurrà sotto il lampione acceso.

qua sotto questo lampione… venga… le faccio vedere una cosa… Guardi, qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: – Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma… La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: – «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!»

Elisa 

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